È una raffica di numeri neri quelli che stanno mettendo in fila le associazioni di categoria e i sindacati dei settori più colpiti dalla devastante impennata dei prezzi del gas e dell’energia che da inizio anno sta martoriando industria e servizi. Cifre che ad oggi, tirando le somme, portano a oltre un milione i posti di lavoro a rischio cassa integrazione, per non parlare, se la crisi non dovesse trovare soluzioni, di un successivo pericolo di licenziamento per la chiusura di migliaia di attività produttive. Tant’è che diventa sempre più consistente l’ipotesi di varare una sorta di ’Cassa gas’ eccezionale, com’è stata la ’Cassa Covid’.

A dare l’idea della mappa del rischio sono i dati di Lavoro & Welfare, il centro studi dell’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano. Nel report gennaio-luglio 2022 si vede come la cassa integrazione straordinaria abbia avuto un incremento del 45% sull’anno precedente, ma con valori anche più elevati per i comparti produttivi più sotto pressione: più 902% per la trasformazione dei minerali, più 639% per attività connesse con l’agricoltura, più 315% per il legno, più 217% per l’alimentare, più 350% per il tessile, più 344% per pelli e cuoio, più 246% per abbigliamento e più 195% per la metallurgia, mentre per il commercio siamo a più 100%.

Con l’autunno e la nuova fiammata del prezzo del gas, non è difficile immaginare come i numeri indicati siano destinati a raddoppiare, con un’estensione del ricorso agli ammortizzatori a nuovi ambiti. Non a caso, spiega Damiano: “La reale prospettiva di imminenti chiusure di impianti energivori, già colpiti in questi mesi, prefigura se non l’interruzione, gravissime difficoltà per vaste catene produttive“. Tant’è che – incalza – “serviranno risorse notevoli da impegnare in eventuali ammortizzatori sociali speciali, come fu per la Cassa Covid, per far fronte a un inverno che si annuncia freddissimo per il tessuto produttivo e per lavoratori e famiglie”.

Si infiamma, intanto, la campagna elettorale, con fitti scambi di accuse, soprattutto via social, in una sorta di tutti contro tutti che rischia di non semplificare le prossime scelte del governo.

Al Mef si sta studiando un nuovo intervento contro il caro-bollette a tutela di famiglie e imprese, ma solo fra lunedì e martedì si capiranno quali sono i margini di azione. Al vaglio ci sono varie ipotesi, con scenari che vanno da una manciata di miliardi a disposizione fino a oltre dieci, ma comunque meno di venti, secondo quanto filtra da fonti governative. In base alle risorse a disposizione, su cui si deve esprimere la Ragioneria dello Stato a inizio settimana, sarà più chiaro cosa possa trovare spazio nel nuovo provvedimento: più facilmente sarà un emendamento al dl aiuti bis (le commissioni in Senato devono finire l’esame entro il 4 settembre) anziché un nuovo decreto, anche perché con la campagna elettorale in corso non sarebbe semplice riportare deputati e senatori due volte in Parlamento, si ragiona in ambienti politici. Fra le ipotesi che circolano al momento, l’azzeramento degli oneri di sistema di luce e gas, nonché un intervento sulla Cig. Per la proroga degli sconti sui carburanti potrebbe bastare anche un decreto ministeriale.

I partiti sono in pressing per interventi ben più onerosi. Devono essere ”massicci” per Giuseppe Conte, che insiste sullo scostamento perché ”si è perso già troppo tempo”.

”Con quale credibilità chi 37 giorni fa ha fatto cadere il Governo Draghi pretende oggi dallo stesso governo misure per la crisi energetica?”, scrive su Twitter Enrico Letta, riferendosi anche a Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, e suscitando la dura reazione del leader del M5s. ”Mentre noi incalzavamo Draghi – il tweet di Conte – forse tu eri distratto tra furia bellicista per il conflitto in Ucraina, armi e inceneritori da piazzare nei decreti”.

”Sicuramente servirà un intervento da 30 miliardi di euro in manovra di bilancio”, dice Salvini, che cita Elon Musk definendo ”il nucleare di ultima generazione è la fonte energetica più pulita e sicura”. Al centro del fuoco incrociato c’è anche il rigassificatore di Piombino. Carlo Calenda annuncia con Matteo Renzi una mobilitazione a favore delle infrastrutture energetiche, ma continua a cadere nel vuoto la sua proposta rilanciata per ”un time out e un confronto tra i partiti”.

”Un appello soprattutto a Meloni e Letta – dice il leader di Azione -, di essere chiari su alcune cose di fondo: saremo responsabili sul bilancio, vogliamo il rigassificatore, andiamo da Draghi, chiediamo tutti quanti di fare un intervento molto ampio”. Per qualunque intervento, il governo dimissionario ha bisogno di un solido accordo politico. Ma Il clima incandescente della campagna elettorale per ora appare decisamente poco propizio.

Per Letta ”la Russia è definitivamente parte di questa campagna elettorale” e su questo tema ”la destra italiana è drammaticamente ambigua”.

Ed è durissimo lo scontro fra Giorgia Meloni e Luigi Di Maio. Alla leader di FdI che lo ha accusato di essere ”indegno” perché ”scredita e rende debole la propria nazione agli occhi degli Stati esteri”, il ministro degli Esteri replica con un video sui social. ”Cara Giorgia, mi rivolgi degli insulti perché ho osato dire la verità sul tuo programma elettorale e quello della tua coalizione”, è la tesi del capo politico di Impegno civico secondo cui ”rinegoziare il Pnrr significa perdere quei soldi”. Di Maio inoltre rinfaccia alla leader di FdI le sue ”amicizie fasciste del passato che si commentano da sole”, e quelle internazionali del centrodestra, grazie a cui ”l’Italia sarà ancor più isolata in Europa”.

Ma Calenda non ci sta: ”Di Maio se ne accorge solo adesso che gli fa comodo, quando era al governo con Salvini non se ne ricordava”.

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