Ancora una giornata di proteste per i disoccupati siciliani che percepiscono, ormai da anni, il reddito di cittadinanza. Sono tornati in piazza, a Palermo, davanti Palazzo d’Orleans, sede della Presidenza della Regione. Blocchi stradali e traffico in tilt per fare pressione e ottenere risposte. Al termine della scorsa manifestazione, partita il 21 dicembre dal Castello della Zisa, avevano ottenuto la promessa di un incontro con il presidente della Regione. Nessuna convocazione, però, è arrivata agli organizzatori, che hanno deciso, quindi, di convocare un nuovo presidio permanente da ieri pomeriggio “fino a quando non verranno ricevuti“.

“Siamo di nuovo qui – spiega Davide Grasso – e non ci fermeremo perché vogliamo garanzie: o un lavoro dignitoso per tutti i percettori che perderanno il reddito già a partire da luglio, oppure un sussidio per poter vivere. Difendere il reddito significa lottare contro il lavoro in nero, contro lo sfruttamento, contro i salari da fame e contro l’emigrazione forzata dalla Sicilia. Prima bisogna creare il lavoro per permettere a tutti di restare in questa terra con dignità e poi si potrà mettere in discussione il reddito di cittadinanza”.

Intanto, è cominciato lo sciopero della fame di sei percettori del reddito di cittadinanza. I sei manifestanti hanno inviato una lettera alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Cinque uomini – Giuseppe, Totò, Matteo, Pietro e Massimiliano – e una donna, Monia. Tutti si firmano solo con il nome.

“Presidente, questi sono i nostri nomi e ognuno di noi ha una storia da cittadino italiano che è frutto anche delle scelte fatte nell’ultimo trentennio dalla classe dirigente del nostro Paese – scrivono nella missiva – Quando avevamo 15-16 anni ci è stato detto che avremmo potuto smettere di studiare perché l’Italia era in crescita e noi con le nostre braccia avremmo potuto contribuire al suo sviluppo e nello stesso tempo potevamo aiutare le nostre famiglie. C’è chi lo ha fatto restando al Sud, pur conoscendo le sue logiche di lavoro sommerso e di compiacenza. C’è chi lo ha fatto andando a lavorare per quel Nord produttivo e locomotore d’Italia“.

Poi aggiungono: “Per anni ci siamo “arrangiati“ sperando che prima o poi la politica si occupasse anche di noi. Noi non sappiamo se il reddito di cittadinanza sia o meno un provvedimento dannoso per il nostro Paese. Dopo aver protestato per strada, raccontato le nostre storie e manifestato la nostra preoccupazione, credevamo si trovasse una soluzione che ci consentisse di rinunciare al reddito di cittadinanza e, contemporaneamente, ci reinserisse nel mondo del lavoro che crediamo ancora essere un diritto in quanto cittadini di quell’Europa che garantisce i suoi cittadini in Francia come in Germania. Speriamo che questo avvenga anche in Italia“.

Infine spiegano le motivazioni alla base dello sciopero della fame: “Durante la chiusura dell’anno abbiamo promesso ai nostri figli che il 2023 sarebbe stato migliore, guardandoci dentro sapevamo di aver detto qualcosa nella quale non era facile credere ed abbiamo deciso che il digiuno prolungato potesse essere un modo per dire ai nostri figli che ci stiamo provando“. 

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