Abolite nel 2014 da Rosario Crocetta, con quella che fu considerata una riforma epocale, le vecchie e care Province non sono più solo un miraggio. Basta con il commissariamento degli enti e l’ipotesi di elezioni di secondo grado. Dopo nove anni, la parola torna al popolo con il suffragio diretto dei liberi consorzi di Comuni (che assumeranno la denominazione di Province) e delle Città metropolitane. Il governo regionale, guidato da Renato Schifani che, a Palazzo d’Orleans, ha presentato alla stampa il disegno di legge approvato in giunta, pensa di tornare alle urne tra il 15 ottobre e il 30 novembre. Ma c’è un dettaglio non di poco conto: l’entrata in vigore della legge, dopo l’approvazione all’Ars, è condizionata dall’abrogazione della legge Delrio da parte del Parlamento nazionale. 

Ma andiamo con ordine. Nel dettaglio, le Province saranno sei, più le tre Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina; il progetto di riforma individua gli organi di governo e la loro composizione, introducendo la figura del consigliere supplente; stabilisce le quote rosa nelle liste, con almeno un quarto delle candidature riservato a donne; prevede la doppia preferenza di genere, come nei Comuni; introduce il collegio unico per l’elezione del presidente della Città metropolitana e della Provincia, la divisione della circoscrizione elettorale in collegi per l’elezione dei consiglieri provinciali, in modo da dare adeguata rappresentanza a tutti i territori. 

Per le province con popolazione superiore al milione di abitanti sono previsti 36 consiglieri e massimo 9 assessori; per quelle tra cinquecentomila e un milione di abitanti, 30 consiglieri e fino a 7 assessori, mentre quelle con meno di 500.000 abitanti potranno eleggere 24 consiglieri e le giunte avranno massimo sei assessori. Il ddl fissa le competenze dei nuovi organismi.

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