Una nuova tappa, concreta ma anche simbolica, segna la fine del Covid: è la fine delle regole semplificate e largamente automatiche che hanno disciplinato lo smart working negli anni della pandemia e del post pandemia. Da ieri si torna ai meccanismi e ai paletti precedenti anche per l’ultima categoria di lavoratori per i quali valeva il sistema “sperimentale” e “emergenziale”: i fragili, lavoratori affetti da malattie oncologiche o altre patologie gravi, e i genitori di minori under 14. E, dunque, chi vorrà continuare a svolgere l’attività secondo i criteri del lavoro agile dovrà firmare un accordo individuale con il proprio datore di lavoro.

Cosa cambia nel settore pubblico e in quello privato Multe fino a 500 euro

Nel settore privato senza più procedura semplificata torna a valere l’accordo individuale, quello stipulato tra azienda e lavoratore, anche per chi ha figli piccoli o fragilità di salute. Oltre alla tipologia, tempo determinato o indeterminato, dovrà contenere le indicazioni generali nel caso di alternanza del lavoro in presenza e quello da casa.

Quanto al comparto pubblico, il diritto allo smart working per i dipendenti definiti “super fragili” – affetti cioè da patologie croniche gravi, certificate dal medico competente – è scaduto il 31 dicembre 2023. La mancata proroga è legata alla mancanza di coperture finanziarie.

Multe fino a 500 euro

A partire dal mese di aprile, l’azienda che non stipula un preciso accordo individuale con il lavoratore in smart working può essere multata: si rischia una sanzione da 100 a 500 euro per ogni dipendente se il datore di lavoro non comunica entro 5 giorni massimi dall’inizio della prestazione l’avvio del lavoro in modalità smart, tramite il portale “servizi lavoro” sul sito del ministero del lavoro e delle politiche sociali, secondo la procedura standard. E questo vale anche per i lavoratori considerati soggetti fragili e per coloro che hanno figli a carico di età inferiore a 14 anni, poiché termina la deroga prevista finora.

Smart working in aumento: +541% rispetto al pre Covid

Lo smart working è un fenomeno in crescita. Secondo l’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano dopo i picchi della pandemia e una graduale riduzione negli ultimi due anni, nel 2023 i lavoratori da remoto hanno raggiunto i 3,585 milioni, il 541 per cento in più rispetto al pre-Covid. Nel 2024 si stima saranno 3,65 milioni.

Si torna al modello stabilito nel 2017

“Alla prima fase di scetticismo, è seguita una fase di ottimismo eccessivo, che ha per certi aspetti sottovalutato la necessità di coniugare lo smart working con lo ‘stile organizzativo’ delle imprese”, ha spiegato il giuslavorista Francesco Rotondi, consigliere del Cnel e fondatore dello studio LabLaw.

“Si discute della necessità di un restyling normativo della legge del 2017, anche se la criticità maggiore pare essere quella che riguarda l’adattamento dell’organizzazione aziendale allo strumento. Perché è emersa con prepotenza una istanza sociale che individua nello smart working uno strumento assai efficace di conciliazione dei tempi di lavoro, di cura e di vita, che si spinge fino a invocare un ‘diritto’ allo smart working”.

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