Giuseppe Orto è un giovane attore di talento, siracusano. Conoscendolo da vicino, ti accorgi subito che è dotato di una particolare sensibilità artistica, tanta determinazione e, soprattutto, tenacia da vendere. Ne ho avuto conferma, attraverso questa intervista che riassume tutta la sua capacità ad “indossare” ruoli sempre diversi con grande passione e convinzione.
Il suo amore per il teatro nasce, “grazie“ a Valeria Moricone. Giuseppe aveva solo 10 anni, quando la vede recitare al Teatro Greco di Siracusa, splendida interprete di Medea. Quella sera di inizio estate del 1996 promette alla madre e alla nonna che erano con lui ad assistere allo spettacolo, messo in scena con la regia di Mario Missiroli che “quella“ sarebbe stata la strada che avrebbe intrapreso nel suo futuro.
E quella promessa, Giuseppe, la mantiene. Qualche anno più tardi arrivano i provini all’INDA, li supera e partecipa alla formazione triennale che lo porterà, più volte, a calcare le scene nella maestosa cornice del Teatro Greco della sua città, fino alla recente partecipazione, nel coro, di “Edipo Re”.

Partiamo da “Edipo Re”, in cui tu hai recitato al Teatro Greco di Siracusa, nel 2022: cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«Tra tutti gli spettacoli a cui ho partecipato nel corso di questi anni, L’Edipo Re, è stato senza dubbio la produzione con il cast più numeroso di sempre, circa 90 persone che si destavano all’interno di uno spazio assai particolare in quanto composto da un orchestra ristretta ed una scalinata monumentale. Un esperienza che arricchisce a livello professionale nella gestione degli spazi e, soprattutto, nel creare empatia e sincronizzazione millesimale con un numero così importante di colleghi».
Ci racconti l’emozione che hai provato alla “Prima“ ?
«Su quel palcoscenico mancavo da qualche anno, per tanto l’emozione della prima era doppiamente palpabile. Nonostante il precedente mese e mezzo di prove in quel luogo quando si arriva al giorno della prima tutto diventa magico, un energia che si sente nell’aria. Una grande carica emotiva che saldamente rimane ancorata fino all’ultimo minuto dello spettacolo per poi liberarsi al suono dello scroscio di applausi che permettono di godersi finalmente il frutto di tanto lavoro».
Cosa ti ha colpito di questo lavoro e del tuo personaggio?
«Il porsi costantemente tante domande durante lo spettacolo. Una Tragedia che insegna a non dar mai nulla per scontato. Ci si scontra con una sacra verità: la fragilità dell’esperienza umana, che può passare, in breve tempo, dal massimo dello splendore alla più abissale delle abiezioni».
Cosa rappresenta per te il mondo del Teatro?
«Personalmente rappresenta il luogo all’interno del quale si crea la vera Magia, in parte per mezzo degli attori, ma credo fermamente che a rendere completa questa magia sia lo scambio di emozioni con il pubblico, che viene a teatro con l’intento di immedesimarsi, riflettere, oltre che imparare a considerare i diversi modi di vivere e pensare. Partecipare alle opere teatrali rappresenta l’occasione di immedesimarsi in molteplici vite».
“Edipo Re” deve essere stato un set pieno di aneddoti, ne hai qualcuno da raccontarci?
«In qualsiasi spettacolo capitano sempre degli avvenimenti che lo rendono unico. In questo spettacolo non sono mancate le classiche tensioni dovute a colleghi che durante lo spettacolo rischiavano di svenire e alle volte ciò è realmente accaduto. Capitava che alcuni membri del cast, sia uomini che donne, li si vedeva uscire in maniera defilata durante la replica. Credo che questo spettacolo, proprio per l’elevato numero di partecipanti, sia stato indubbiamente quello da ricordare con maggiori svenimenti in scena».
Come ti sei avvicinato alla recitazione? C’è stato qualcosa o qualcuno che ti ha spinto verso questo mondo?
«La recitazione l’ho scoperta per caso da bambino. Mi piaceva rappresentare storie e personaggi, ho sempre avuto una grande fantasia, motore indispensabile al fine di permettere a me stesso di andare oltre i limiti della timidezza. Lo identificavo come un gioco in cui raccontare delle storie».

Tra le esperienze teatrali, quale ti ha arricchito di più?
«Gli Uccelli di Aristofane con la Regia di Roberta Torre. Uno spettacolo, piacevolmente assurdo e fuori da ogni rivisitazione classica. Ricordo che, durante quelle repliche, provavo grande divertimento, in più fu il primo spettacolo in cui mi affidarono un piccolo ruolo: Eracle.
Indubbiamente rimane uno degli spettacoli più divertente che abbia mai fatto: lo rifarei!».
In futuro hai un ruolo, in particolare, che ti piacerebbe interpretare?
«Molti dei miei colleghi ti potrebbero rispondere: Aiace, Eracle e altri nomi protagonisti, eppure io desidero interpretare un Messaggero. In particolare il messaggero di Antigone. Amo tutti i messaggeri, queste figure che portano in scena le immagini, spesso cruente e di fatale entità, responsabili di far vedere al pubblico ciò che non è avvenuto in scena e che in maniera struggente e colma di pathos declamano la morale della tragedia rappresentata».
Altra tua passione è lo sport. Quale significato attribuisci alla pratica dell’attività agonistica nella vita?
«Si interfaccia perfettamente al teatro così come a tanti altri mestieri. La perseveranza che serve nell’ottenere dei risultati, il lavorare giorno dopo giorno per conoscere i propri limiti e superarli per incontrarne altri e poi altri ancora. La costanza e la determinazione sono la chiave per ottenere sempre più risultati».

Quanto contano per te l’amore, la famiglia, l’amicizia?
«Hanno una valenza importante, spesso le tre cose si mescolano tra loro formandone una sola. Ho una bellissima famiglia e, fortunatamente, posso andarne fiero. Tendo sempre a conciliare il tempo libero con tutti e tre gli aspetti, perché credo che la Famiglia più bella sia fatta dalle persone che ti hanno cresciuto e quelle che hai volutamente scelto pronte a supportati».

Si pensa, spesso, che nel mondo dello spettacolo ci sia prevalentemente “concorrenza“. Tu sei, invece, riuscito a trovare anche degli amici/e, tra i tuoi colleghi?
«Si, ho trovato colleghi con cui i rapporti sono durati oltre il periodo lavorativo, diventando amicizie solide e durature. C’è molta competizione e, con il tempo, ho imparato a riconoscere le persone con le quali potersi incontrare al di fuori dell’ambito lavorativo».

Ci sono state persone che ti sono state vicino, appoggiando le tue scelte artistiche, rivelandosi poi assai importanti?
«La mia famiglia: mi ha sempre supportato in qualsiasi aspetto! Sin da subito sapevano bene che ero portato per un mestiere fuori dal comune e nell’ambito artistico. Entrambi i miei genitori non hanno mai perso un solo spettacolo e sono stati ancora più vicini proprio quando capitavano periodi in cui non era semplice lavorare a teatro. Sarebbe troppo facile e scontato appoggiare il proprio figlio solo quando tutto va bene, la vera comprensione è esserci nei momenti meno semplici».
Oggi credi che un reality o un talent show possano essere di grande aiuto per chi desidera farsi conoscere in ambito artistico?
«Assolutamente si, la vedo come un’ ampia vetrina per poter mostrare le proprie capacità ed arrivare a molto più pubblico e molti più produttori. Certo è che senza un bagaglio di esperienze e di conoscenze tecniche a poco servirebbe un reality, la visibilità senza una vera sostanza non credo possa essere proficuo».

Come vivi i giudizi?
«Se sono costruttivi li accetto più che volentieri, anzi, spesso è capitato di essermi ricreduto su qualche argomento ed aver cambiato opinione, trovo che sia la cosa più intelligente che si possa fare. Alle volte il peso del giudizio vale quanto la stima che ho verso la persona che lo espone; maggiore è la stima e più terrò in considerazione le sue parole, al contrario lascio scivolare ogni parola senza curarmene».
E i pregiudizi?
«Credo siano da considerarli per quel che sono: limiti! Le persone hanno un proprio trascorso e una propria identità, frutto di una serie di circostanze personali e, quindi, per tale motivo diverse l’uno dalle altre».
Salvo Bottaro

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